Per millenni (e forse ancora oggi) l’uomo, nell’immaginario collettivo, è sempre stato al centro dell’universo per il bisogno di esprimere forza, dominio, potere. Questo può spiegare il perché le donne abbiano dovuto lottare (e continuano a farlo) per essere considerate sullo stesso piano degli uomini, ma, a livello più profondo, può spiegare un altro fondamentale aspetto: una tendenza a oscurare l’immagine di Anima che risiede nell’umanità. Per chiarire, Jung definiva queste immagini preesistenti, archetipi, i quali risiedono da sempre nell’inconscio collettivo.

«Jung definisce Anima l’immagine del femminile che ogni essere maschile ha interiorizzato, mentre definisce Animus l’immagine del maschile che ogni essere umano femminile ha interiorizzato.» Aldo Carotenuto, Trattato di psicologia della personalità, p. 233

 

Ogni donna, oltre ad essere Anima, è anche Animus e, viceversa, ogni uomo, oltre ad essere Animus, è Anima.

“Il femminile è sovrano nel regno dell’anima, consigliere saggio e accorto, maestro di sentimenti e di emozioni, ossia di quegli aspetti, di quei valori, con i quali il maschile ha poca dimestichezza o ritiene di potere disprezzare.” Aldo Carotenuto, L’anima delle donne, p. 22

Questo articolo analizza tre miti citati nel libro di Aldo Carotenuto, L’anima delle donne.

Il mito della creazione

Maschile e femminile, sebbene possano rappresentare due estremi, si manifestano come parte integrante dell’essenza dell’essere, due possibilità di “essere” dell’esistenza umana. Se consideriamo la Genesi, scopriamo che la donna nasce nel mito della creazione come amenità.

«La donna che per le sue doti naturali è particolarmente adatta ad essere la compagna dell’uomo nel senso del racconto della Genesi, è la donna allo stato di natura. Essa è la femmina della razza umana la cui attenzione è istintivamente tutta concentrata sul compagno. Si conforma ai suoi desideri, si fa bella e desiderabile per lui. Naturalmente queste sono manifestazioni naturali del rapporto biologico fra i sessi. Ma, allorché tali reazioni istintive si manifestano nella donna moderna, lo scopo di Madre Natura è mascherato secondo un codice di convenzioni e la donna stessa spesso non si rende conto del significato ultimo delle sue azioni. […] Ancora oggi molte donne si trovano nello stesso stato di incoscienza delle loro remote antenate e si appagano di essere compagne e controparti dell’uomo (Esther Harding, 1932, 20-21).»

In quest’ottica l’unica forma di appagamento è l’essere compagne e controparti dell’uomo. Un senso di inferiorità, ahimè, imposto ed accettato per lungo tempo. Un destino sofferto vissuto alle basi della piramide sociale a vantaggio di una cultura patriarcale, la quale ha alimentato il nascere di pregiudizi e difficoltà nella definizione di un senso di identità femminile.

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Il mito di Artemide

«[…] purtroppo quello che a noi oggi appare comunissimo (una donna che vive del suo lavoro, che viaggia da sola, che sceglie le persone con cui vivere e con cui avere o non avere dei figli) apparve invece, per un secolo, una sorta di marchio infamante che accompagnò la “fama” dell’autrice, considerata alla stregua di una donna perduta, di una volgare prostituta che calpesta i più elementari doveri di una donna per bene. Un marchio che rese difficile, anche presso molte donne impegnate nel movimento per la conquista dei diritti delle donne, fare della figura e dell’opera di M. Wollstonecraft quello che ora finalmente si è fatto: la prima testimonianza, di vita e di pensiero, della lotta delle donne dell’epoca contemporanea per la conquista sul piano teorico e per la realizzazione sul piano pratico di quei diritti che venivano allora – e spesso tuttora – predicati come universali ma riconosciuti in concreto soltanto come diritti dei maschi.» (Restaino, Cavarero, 1999, 14).

I movimenti femministi hanno spesso rivendicato diritti e potere in nome delle donne. La ricerca dell’indipendenza nel rapporto con l’Altro, si configura come sano egoismo quando non vuole essere un mezzo per allontanarsi, ma un modo di emergere e avvicinarsi all’Altro. Il mito emerso in tempi più recenti, con i movimenti femministi, è quello di Artemide (Diana nella mitologia romana), dea della caccia e della caccia, degli animali selvatici, del tiro con l’arco, della foresta e dei campi coltivati; è anche la dea delle iniziazioni femminili e protettrice della verginità. Una donna molto decisa, caparbia, vendicativa e contraria alle ingiustizie. Questo si traduce nella donna che vuole farcela con le proprie forze. La vera e propria incarnazione della “donna in carriera”.

Sfortunatamente Artemide ha la presunzione di voler affrontare il mondo da sola, senza l’alleato maschile, correndo il grande rischio di non raggiungere una profonda conoscenza del mondo. 

Il sano egoismo

Il mito di Artemide coglie il concetto di donna intera di Germaine Greer, ovvero una donna, che come Artemide, è capace di “fare sempre centro”, di avere una buona capacità introspettiva.

“Significa possedere una grande capacità introspettiva, una sensibilità che consente di cogliere i messaggi provenienti dal nostro mondo interno.” Aldo Carotenuto, L’anima delle donne, p. 180

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Il mito di Amore e Psiche

Amore e Psiche sono i due protagonisti di una storia narrata nelle Metamorfosi di Apuleio nel II secolo d.C. Venere, invidiosa della bellezza di Psiche, incarica il figlio Cupido di colpire con una delle sue frecce l’uomo più brutto fra i mortali che avrebbe sposato  la bella Psiche. Cupido colpisce erroneamente il proprio piede e finisce per innamorarsi di Psiche.  È la metafora dell’eterna battaglia fra razionalità e sentimento. Psiche, mortale e dalla bellezza venerea, si innamora perdutamente di Amore-Cupido (o Eros) senza sapere nulla sulla sua reale identità. Istigata dalla sue sorelle, Psiche decide di fare luce sul suo volto, ma oltre a scoprire la sua reale identità finisce per ustionargli il volto. Amore si allontana e Psiche inizia a vagare fino a consegnarsi al tempo di Venere, sperando di placarne l’ira per aver disonorato il nome del figlio. Solo al termine di numerose dure prove, ottiene l’immortalità e sposa Amore-Cupido.

In questo mito si enfatizza l’oscurità a cui si va incontro nella vita relazionale, si sa poco dell’altro, ma si è disposti a sacrificarsi, a sperimentare un mondo diverso dal nostro. Un’opportunità di crescita e sviluppo. Il coinvolgimento emotivo ha una valenza conoscitiva:

“Perché una persona che si lascia coinvolgere emotivamente è una persona che può davvero comprendere il senso della vita. Attraverso l’amore, attraverso il coinvolgimento emotivo, il mondo diventa più comprensibile, si offre e si apre a noi come mai era accaduto.” Aldo Carotenuto, L’anima delle donne, p. 197

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